Qualcuno magari conosce la storiella dell’asino che crepava di fame perché si trovò nel esatto mezzo tra due mucchi di fieno e non si poteva decidere (veramente nessun asino è così scemo ma rende il concetto bene) Il contadino dio primavera si trova sempre in una situazione analoga, solo che i mucchi non sono di fieno ma di lavori da finire o da cominciare e non sono due ma un numero infinito. L’effetto è che crepa non crepa ma a volte rimane paralizzato finché non si indirizza a caso verso uno dei mucchi e lo finisce (se va bene). Così l’orto grande è coltrato e le patate seminate, il coltro è rotto, gli innesti delle viti e dei peschi son fatti, mancano due file di trebbiano da legare e qualche palo da mettere nella vigna; i rovi nei pascoli sono tagliati in gran parte, il panello solare che era schiantato con il gelo è finalmente saldato (visto che da ora in poi all’acqua calda ci pensa il sole) solo di ulivi sono potati poche ma adesso ci si dedicherà davvero; la legna del bosco è in gran parte su catasta (ormai sono anni che il contadino non riesce più fare una catasta di legna normale) e manca solo da spaccare quello grosso. Già, c’è anche da ricavare la stalla.
E quasi tutta la terra è lavorato in profondità, l’anno scorso pioveva fino aprile e non si poteva fare.
Bella la catasta spiona, ottima per confini di stretto vicinato 😉
Ho scoperto che lavorare per gli altri nelle stesse mansioni è molto meno faticoso che farlo per sè stessi. La gerarchia dei mucchi è più chiara.
E poi si accetta di metterci il tempo che ci vuole. Quando si è dato il massimo si è in pace col mondo. Per noi stessi non è mai abbastanza veloce.
E poi non riesco a lavorare per me con la stessa cura con cui lo faccio per gli altri.
Sbatacchio un po’ le cose, per me.
Per gli altri divento una catena di montaggio perfettamente sincronizzata.
A volte cerco di convincermi che non lo sto facendo per me per migliorare la performance e funziona a tratti.
Assolutamente vero, lavorando per altri i mucchi sono ben definiti e dopo si stacca – uno si dovrebbe auto-assumere 😉
La mia esperienza dice che quando si lavora occorre concentrarsi sul presente e “godere” di quel che si sta facendo senza pensare a quello che ancora devo fare.
Quando ci riesco sto veramente bene.
Beh in realtà prego anche…
la mia esperienza dice ‘fare prima le cose a cui si pensa più spesso’ poi le altre, con più calma. il problema è che a volte quelle a cui si pensa più spesso non sono le più necessarie, però da qualche parte ci si deve pur rifare e qualcosa da fare resta sempre.
a me guarda caso restano sempre i panni da mettere a posto e il pavimento di casa da lavare, ma né scappano né muoiono di fame se non mi occupo di loro 😉
magnifica la catasta con l’occhio, mi sa che prevedi un inverno freddissimo!
Lavorare per altri va bene se si riesce a mantenere il giusto equilibrio di attenzione e moderazione nel farsi coinvolgere. Io finisco sempre per lavorare mettendoci tutto l’impegno, non riesco a tirare via…visto che economicamente l’impegno non viene quasi mai riconosciuto, molto meglio allora lavorare per me! Anche se poi come esco di casa parte l’elenco mentale (infinito) delle cose da fare..ma le affronto per ordine di urgenza, oltre che di piacere nel farle e sforzo fisico richiesto.
Di solito finisce che la precedenza su tutto ce l’hanno gli animali,poi le piante, poi la legna.
@Ilaria
non lo so. Mi riferisco a lavori del tipo, sistemare le cose per qualcuno.
Se è buono, ti fa piacere vederlo contento, se è una merda, allora è una sfida,
comunque dà soddisfazione lasciarsi dietro un lavoro ben fatto.
E visto che economicamente come dici l’impegno non viene quasi mai riconosciuto,
è come fare volontariato in effetti, una bella sensazione del tipo, guarda che bel regalo che ti ho fatto.
Fino al punto di rottura in cui decidi che è più sensato lavorare per te.
Però lavorare per se si sa che non è lavorare, nessuno pensa che stai lavorando.