Il contadino non sa bene cosa dire e ha più domande che risposte, a proposito di Rosarno. Viene a galla tutta la situazione schifosa nella quale è finita l’agricoltura con il pensiero economico neoliberale (crescità e concorrenza globale).
Gli africani colgono i pomodori, le mele e le arance, i rumeni e albanesi tagliano la nostra legna e costruiscono le nostre case, le ucraine e polacche badano i nostri vecchi e le cose che compriamo vengano dalla Cina, durano poco e riempiano le nostre discariche.
E noi facciamo i padroni con i ragazzi annoiati a morte?
Zaia propone la certificazione per prodotti agricoli colti nel rispetto della legge.
… io credo molto anche nella certificazione etica. Un marchio che garantisca che le produzioni alimentari e agricole non sono avvenute attraverso lo sfruttamento del lavoro.
Raccogliere prodotti agricoli nel rispetto delle norme a costi concorrenziali è impossibile. Fare controlli a tappeto significa chiudere molte aziende medie-piccole (e anche grandi).
La certificazione etica sarebbe lo stesso lavoro che dovrebbe fare l’ispettorato del lavoro, vero?
Chi fa i prezzi, veramente?
Certifichiamo anche i bulloni, la pasta sciutta, i calzini e le magliette, i mattoni della nostra casa, i mobili, la carta per non parlare dei nostri amati e indispensabili giocattoli elettronici: telefonini, netbook, PC?
Vogliamo diversi tipi con diversi prezzi di prodotti agricoli: normale, etico, bio, bio+etico ?
Non sarebbe meglio forse di tentare una soluzione alla base di questi problemi?
Tassare i consumi e non più la manodopera (contributi INPS pagati con IVA)?
Un reddito di base per gli agricoltori (e il resto del paese)?
Condivido tutto.
Ora (qui in ufficio) non ho molto tempo per pensarci approfonditamente, ma la prima immagine che mi viene a mente è quella di un “cane che si morde la coda”…girà e rigira il risultato è sempre il solito.
ps tecnico.:
perchè non rimett il plugin per essere avvisati quando uno commenta al post? era utile…
Ciao,
condivido il tuo pensiero. La modificazione da un’economia “contadina” o di sussitenza a una di mercato ha prodotto i risultati che vediamo ogni giorno. Aumento dell’inquinamento, sfruttamento incontrollato delle risorse, necessità indotte e non reali per aumentare i consumi e, di conseguenza, i profitti di pochi a danno di molti. Le politiche “bio” vengono fatte, per la maggior parte dei casi, solo per continuare a gestire i mercati non per una vera politica di recupero di modelli di vita che rispettino ambiente e risorse.
L’ho scritto anche qui: http://www.trescogli.net/2010/.....al-passato
C’è una piccola parte del mondo che ha la pancia piena e una grandissima parte che muore di fame. Le migrazioni, e di coneguenza l’integrazione, non si affrontano con la repressione o pensando di costruire recinti invalicabili. Come diceva mio nonno “La fame è brutta”…
Ottime domande comunque, e questo non è mica è poco 🙂
Certo che occorrerebbe certificare tutto (bio+etico), e certo anche che poi i costi diventerebbero del tutto proibitivi per chi, come me, è animato dalle migliori intenzioni ma ha uno stipendio da mille euro al mese.
Quindi -con salto logico solo apparente, e tanto per rimanere nel campo delle scelte libere e non subìte- seguita a girarmi in testa che la strada sia: ridurre, ridurre, ridurre i consumi.
Ciao Ste
Vi segnalo questo articolo:
I consumi divorano il pianeta. In 5 anni aumentati del 28%
http://www.repubblica.it/ambie.....te-1913867
Già l’ispettorato del lavoro, giusta osservazione. La certificazione però consegue necessariamente dal consumismo. In primo luogo, la catena tra il produttore ed il consumatore si è allungata al punto che il consumatore non sa nulla del produttore e di come produce. In secondo luogo l’offerta di prodotti (e la conoscenza su di essi) è amplissima. Un consumatore dovrebbe passare un tempo incredibile ad informarsi su chi vende e che cosa.
La certificazione serve a liberare il consumatore da questo lavorio. Ci rende più pigri, ma provate ad immaginare se ogni volta che facciamo la spesa dovessimo controllare la lista degli ingredienti, decifrare i vari E-numeri, controllare che non venga da chissà dove (il CO2!) e per giunta informarci sulle condizioni di lavoro di chi ha prodotto quanto stiamo per acquistare!
io sono dispostissima a pagare di più, per esempio, le arance, o anche a non mangiarle, perchè no?
la roba in generale costa troppo poco, credo.
secondo me abbiamo un potere molto forte di influenzare il mercato ed invece (ed è surreale) lui influenza noi.
ho faticato non poco a trovare un tessuto per lenzuola come volevo io e che non venisse dalla cina e l’ho anche pagato un occhio, però è un buon tessuto e mi durerà molti anni, inoltre io di lenzuola ne ho due, giusto per il cambio, perchè dovrei averne di più?
sono tante le cose che dipendono da noi… (penso io)
@Silvio: Grazie, non mi era neanche accorto che era disabilitato (successo all’ultimo upgrade di wordpress), ora dovrebbe essere in funzione nuovamente 🙂
La certificazione dovrebbe essere qualcosa in più, un valore aggiunto. Bisogna arrivare a un sistema che garantisce la dignità dei lavoratori e garanzie per l’ambiente a tutti prodotti. Poi ben venga chi si distingue e ovviamente questi costeranno di più. Forse sarebbe meglio una “blacklist”, ovvero il classico boicottaggio: la coop o altri grande catene devono garantire per tutto nei loro scaffali.
Vedo come funziona la certificazione biologica in quanto sono dentro, e ho dubbi seri se una certificazione etica sarebbe più in grado di garantire qualcosa che l’ispettorato di lavoro (le norme assurde sono poi un altro discorso ma collegato). L’ICEA che certifica anche l’etica fa lavorare i propri controllori in un sistema neoliberale che non vi dico…
Sono d’accordo con consumare il meno possibile, ma mangiare vestirci e abitare dobbiamo per forza.
vedo un paio di problemi in quello che scrivi. Innanzi tutto chi definisce gli standard? perché “dignità dei lavoratori e garanzie per l’ambiente” sono espressioni giuste ma giuridicamente valgono come qualsiasi dichiarazione di principi o diritti umani, cioè niente. E poi chi garantisce l’applicazione di questi standard? voglio dire a livello mondiale, non parlo dei pomodori di San Marzano o delle olive di Cerignola.
L’idea della blacklist è interessante, ma anche qui ho dei dubbi sul’applicazione pratica.
Forse la chiave sarebbe in effetti responsabilizzare la grande distribuzione, ma come?
Comunque come sempre un post che stimola il pensiero. Grazie.
Chi definisce lo standard? Il legislatore, ovviamente. Abbiamo già come standard (in teoria): salario minimo, tempo di lavoro/settimana, vacanze, prodotti vietati in agricoltura e industria, divieto dellelampade a incandescenza, norme sulla macchine ecc.
I problemi sono i raggiri,i lobbisti e la “qualità” dei nostri parlamentari,e che si gioca a ribasso per non perdere l’industria. Occorrono misure coordinate intelligenti su scala globale, ma sto sognando.
Beh, volendo “uno” standard se lo può inventare chiunque, qui per esempio c’è n’è uno interessante : http://www.goodguide.com/
Praticamente un enorme database con valutazioni ambientali & etiche sui vari prodotti.
Esiste anche un applicativo per iPhone con il quale “scansendo” il codice a barra di un prodotto se ne ottiene la valutazione in tempo reale.
Credo che in Italia non funzioni ancora, ma prima o poi potrebbe…..
Così, giusto per continuare a sognare 🙂
io intanto vado sul pratico e compro l’olio dal contadino 😉
Caro Ste,
come darti torno. Pensa che io adesso sono negli Stati Uniti e l’unica notizia che è passata sui media americani dell’Italia è la faccenda di Rosarno. Ho provato a spiegare a tutti quelli che mi hanno chiesto un perchè la situazione, ho parlato dell’agricoltura, della manodopera a basso costo, dei paradossi della produzione di cibo… ma vengo sempre liquidato con la solita parola… mafia…
Hanno forse ragione anche loro? Che cosa farebbe la mafia se riemergesse una solida societ contadina?
Ho letto un libro sul Wal-Mart, la mega catena di supermercati americani. All´incirca negli anni 90, Wal-Mart decise che le scatole di cartone che contenevano i deodoranti occupavano spazio sugli scaffali ed impose de facto ai produttori di deodoranti di eliminarla. Peraltro la scatola era un costo inutile; anche per l’ambiente. Oggi i deodoranti sono privi di scatola. Un bell’affare per tutti; tranne che per i produttori di cartone.
Ma credo che effettivamente sarebbe utile spostare il focus dal produttore al distributore e scaricare su di lui la responsabilità di quello che vende. E questo non perché il produttore non sia responsabile, ma perché forse il nostro leverage sul distributore può essere maggiore.
Ciao Ste.
Io credo che, innanzitutto, bisogna tornare tutti a produrre qualcosa in proprio. E la svolta dovrebbe essere data a scuola, dove insegnano lingue, storia, geografia, psicologia, legge, economia (e i rusultati si vedono in giro…) ma si trascura le cose principali;
-rispetto per le persone, per la natura e per il lavoro.
-rendersi autonomi e rivalutare il lavoro manuale
-ricondurre il pensiero a più “miti” pretese, insegnando anche ad avere una certa umiltà, che non è comunque segno di rassegnazione.
Noi siamo quelli che hanno portato il mondo a questo punto. Noi siamo quelli che dobbiamo dare una svolta; non per noi ma per I NOSTRI FIGLI!
GiBi
salve, sono di ritorno da un corso di Transition che si e’ svolto a Monteveglio (Bo) questo fine settimana trascorso. Se il contadino e’ interessato avrei del materiale da sottoporgli a proposito di orto sinergico, utilizzo di microrganismi come fertilizzanti, permacultura e ovviamente tutto sulla transizione…
Sono scettico sia sugli microorganismi sia sugli orti sinergetici, ma vuol dire niente, mandami pure qualcosa, o meglio scrivi te tutto il post se hai voglia, credo che ci sono alcuni lettori/trici interessati qui.
Cosa sarebbe la transition ? Il passaggio da “normale” a bio?
[…] recenti ste su Arance amareIl Santo su Con i LED contro il nucleare?donatella su Arance amareGiBi su Arance amaremassimo su […]
La transition dovrebbe essere la fase “postpicco” di passaggio dall’economia basata sul petrolio all’economia senza petrolio.