Haiti nasce col capitalismo, proprio nella sua fase più ruggente e globalizzata: il Commercio Triangolare. Prima Haiti era una costa tropicale, popolata da indigeni che l’economia globale del Seicento estinse rapidamente. Gli haitiani di oggi non sono un popolo autoctono: arrivarono sull’isola come merce, o se preferite forza lavoro a prezzi supervantaggiosi (un terzo moriva nel giro di pochi anni). Nel Settecento Haiti diventa una delle piantagioni meglio organizzate del mondo: un modello per le emergenti potenze coloniali. Poi gli schiavi si ribellano, è vero (ed è una storia appassionante, per chi è curioso); ma non cessano per un istante di essere inseriti nel mercato mondiale, e di creare profitto per le multinazionali dello zucchero e del caffè.
Non è capitalismo questo? Certo che lo è. E non è una versione sciatta o inefficiente del nostro: il capitalismo haitiano è lo stesso nostro capitalismo globale, visto da un’angolazione magari meno favorevole. “Noi occidentali”, scrive Porro, “abbiamo anche la consapevolezza di aver migliorato la nostra condizione, di aver costruito il nostro destino, di aver fatto un passo avanti”. Questo non lo nega nessuno. Il problema è accettare il fatto che questo passo lo abbiamo fatto calpestando qualcuno.
[tratto da Leonardo]
Dal 1957 al 1971 gli haitiani hanno vissuto sotto l’ombra oscura di “Papa Doc” Duvalier, un dittatore brutale che ha goduto del sostegno degli Stati Uniti, perché è stato considerato dagli americani come un affidabile anticomunista. Dopo la sua morte il figlio di Duvalier, Jean-Claude soprannominato “Baby Doc”, è diventato presidente a vita all’età di diciannove anni ed ha regnato su Haiti fino a quando non è stato rovesciato nel 1986. E’ stato nel corso degli anni ’70 ed ’80 che Baby Doc, il governo degli Stati Uniti e la comunità degli uomini d’affari hanno lavorato di concerto per mettere Haiti e la sua capitale sulla buona strada per diventare quello che erano il 12 gennaio 2010.
tratto da [ comedonchisciotte.org
]
Il rapporto che c’è fra ciò che, in un certo periodo,
avviene all’interno di gruppi di uomini e ciò che si
manifesta in un tempo successivo come processi di
natura.
Possiamo a volte osservare certi eventi naturali che ir-
rompono nella vita della Terra. Vediamo le devastanti eru-
zioni vulcaniche, osserviamo ciò che opera nelle inonda-
zioni o in eventi di natura simili.
Se li cogliamo solo come fenomeni naturali siamo da-
vanti a qualcosa che, dapprima, ci sembra incomprensibile
rispetto all’impressione generale che riceviamo dal mondo.
Vediamo degli eventi che irrompono nel mondo di fronte
ai quali l’uomo rinuncia ad una spiegazione e si rassegna di
fronte alla sventura.
La ricerca scientifico-spirituale permette di fare un ulte-
riore passo avanti perché ci mette a disposizione punti di vi-
sta significativi proprio in relazione a questi eventi naturali.
Guardiamo la superficie della Terra. Troviamo regioni
ricche di vulcani, altre soggette a terremoti di grande por-
tata, oppure a rischio di altri tipi di catastrofi. Se tenendo
conto di tutto questo cerchiamo di seguire le relazioni kar-
miche, così come nelle precedenti conferenze le abbiamo
considerate per alcune personalità storiche, ci si presenta
qualcosa di molto particolare.
Si tratta di un fatto impressionante: lassù, nel mondo
spirituale, nel periodo tra morte e nuova nascita, vivono
anime umane in gruppi determinati dal loro karma e che
lavorano secondo le loro precedenti relazioni karmiche per
predisporre quelle future. Vediamo tali gruppi umani, grup-
pi di anime umane che, nel loro discendere dallo stato pre-
terrestre in quello terreno, si dirigono verso luoghi in pros-
simità di vulcani o dove sono possibili scosse di terremoto,
proprio al fine di acquisire quel destino che, a partire dalle
catastrofi naturali, può compiersi per loro in quei luoghi.
Scopriamo nientemeno che nella vita tra la morte e la
nuova nascita, durante la quale l’uomo ha tutt’altro modo
di pensare e di sentire, le anime che si appartengono reci-
procamente vanno in cerca proprio di quei luoghi che per-
mettano loro di sperimentare il destino corrispondente.
Sì, ciò che qui, sulla Terra, trova scarso plauso nella no-
stra anima, come il pensiero: “Mi scelgo una grande disgra-
zia per perfezionarmi, perché altrimenti resto imperfetto
rispetto al mio karma passato”, un pensiero che qui sulla
Terra riscuote scarsa simpatia, là invece viene pensato. È
un pensiero che ci convince profondamente quando siamo
nella vita tra la morte e una nuova nascita.
Allora andiamo in cerca proprio di un’eruzione vulca-
nica, di un terremoto, per conseguire il nostro perfeziona-
mento mediante la sventura.
Noi dobbiamo fare nostri questi due diversi modi di giudi-
care: quello proprio del mondo spirituale e quello che vie-
ne dal mondo fisico.
tratto dalla conferenza (dal titolo CATASTROFI NATURALI –
L’agire della moralità umana sulla natura) di R. Steiner “Come gli Angeli plasmano il destino degli uomini” a Dornach/Svizzera, il 27 giugno 1924,
[E si coglie l’occasione di segnalare un Corso di antroposofia]