[Appena letto e ancora da digerire il racconto dettagliato e preciso di Rudolf Höss, commandante di Auschwitz 1940-43.
Qui sotto il testo originale (l'Unità ha sopresso alcune espressioni) della figlia, tornata appena da questo luogo.]
Noi, uomini
Nel freddo, nel silenzio, tra le mura scure e il livido chiarore della neve. Il muro della fucilazione.
Commemorazione.
Commozione.
L'inno nazionale.
"...stringiamo a coorte, siam pronti alla morte....dov'è la vittoria...". Cupo rimbombo degli applausi di mani guantate e infreddolite.
Applausi? Non mi sento orgogliosa di essere italiana, non mi sento orgogliosa di essere uomo, e non credo che si debba essere orgogliosi di niente, qua. Perché troppo spesso dimentichiamo che questi uomini non erano folli, che non erano malvagi, che non erano insensibili. Vi erano folli, vi erano malvagi, vi erano insensibili. Ma soprattutto c'erano uomini, e noi, che per quanto ricordiamo cerchiamo sempre di dimenticarlo, siamo come loro, siamo loro. Perché ognuno di noi è capace di fare questo, perché ognuno di noi, uno per uno, in quel campo, avrebbe potuto essere uno di loro, in preda a paura, pregiudizi e certezze, in preda ad essere uomo, in tutte le sue sfaccettature, e malvagio come noi soli sappiamo esserlo.
Spesso ci viene chiesto di immedesimarci nelle vittime per comprendere, per cercare di capire, e ci riesce sempre molto bene. Eppure, così come potremo essere vittime, potremo essere carnefici.
Dobbiamo Ricordare, Coltivare la Memoria, per vigilare affinché questo non accada più. Non per impedirla agli altri, ma a noi stessi, così uomini, troppo uomini.
Ricordiamo.
A.E.