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Ci siamo capiti?

Come credi di poter capire veramente il contadino leggendo questo blog se non capisci neanche le e-mail?

[post ironico]

PS: ll contadino da giorni cerca invano di diventare simile all'imagine che i lettori si son fatti di lui.

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commenti (8)

Vittorio B.:

Effettivamente, per il cittadino cercare di capire il contadino a volte è davvero un'impresa... agricola! ;-))

Quanto al tuo tentativo di essere quello che noi pensiamo che tu sia, Ste, sei davvero sicuro di quello che pensi che noi penseremmo di te e che noi lo pensiamo veramente? :o)

ste:

Poi magari vi siete fatti anche immagini diverse dal povero contadino, come fa a risolvere?

Io per esempio ho tre immagini del contadino: una si chiama contadino, l'altra Contadino e l'ultima Ste (con le varianti, ste, Stè, stè, Sté e sté). ;)

Laura:

Il contadino è piacevolmente eclettico (non è una parolaccia Ste!) e mette anima e corpo in quello che fa e che ci trasmette... A volte può arrivarci l'immagine esatta di lui, a volte possiamo interpretare diversamente le sue parole, ma continua tranquillo per la tua strada, se sei nel mezzo, come immagino, è quella giusta.
Non devi "risolvere" nulla, 'ovvìa!!!
Un saluto.

anonimo:

Caro Ste, è l'eterno dilemma. Come si fa con l'esperienza a stabilire la verità e ancor di più la verità per se stessi, e che questa coincide con quella degli altri?

Per ognuno di noi, per quanto ognuno possa essere sicuro della propria identità psicologica, l'immagine di sé muta nel tempo e cambia pure nel rapporto con gli altri, gli infiniti altri fuori di noi. Per noi stessi siamo davvero uno? O ci sono invece tanti che sono dentro di noi e che, inconsapevolmente, appaiono nelle diverse circostanze di un giorno o di una vita?

Ciò che siamo per noi, o che ci sembriamo essere, non è detto che lo sembriamo a quegli altri con cui la Natura e il caso ci hanno messo e ci mettono ogni giorno in relazione.

La familiarità, la condivisione di ogni consuetudine nella vita d'ogni giorno, come pure l'assidua condivisione del pensiero, fanno sì che noi ci conosciamo e ci riconosciamo nella continuità rassicurante del rapporto sociale. Nella costanza di una manifestazione, possiamo assumere - come di fatto assumiamo - che la nostra rappresentazione e l'altrui coincidano con l'essenza.

Le parole svelano tutto di noi, ma se sono la fonte limpida del significato, sono pure la sorgente dell'ambiguità e dell'incomprensione. Se andiamo all'ètimo della parola persona, scopriamo che quello che noi siamo, o che crediamo d'essere, cioè una persona, è per sua definizione la maschera dell'attore, cioè colui che s'identifica e che rappresenta qualcuno, ma che è lui stesso un altro rispetto a quello che sta agendo.

Non so, caro Ste, se tu abbia mai letto Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello. In quel racconto c'è un certo Vitangelo Moscarda che per un nulla - la scoperta che il suo naso pende a destra, a dire della moglie - incomincia a farsi mille domande, con il puntiglio d'essere e d'agire diversamente da come gli altri si aspettano da lui, per come lo conoscono. C'è un passo molto divertente in cui, per esempio, mette alla prova un notaio:

Ma sa che una volta io ho veduto ridere un cavallo? Sissignore, mentre il cavallo camminava. Lei ora va a guardare il muso a un cavallo per vederlo ridere, e poi viene a dirmi che non l'ha visto ridere. Ma che muso! I cavalli non ridono mica col muso! Sa con che cosa ridono i cavalli, signor notaro? Con le natiche. Le assicuro che il cavallo camminando ride con le natiche, sí, alle volte, di certe cose che vede o che gli passano per il capo. Se lei vuol vederlo ridere il cavallo, gli guardi le natiche e si stia bene!»

Per uscire dalla difficile situazione, il povero Vitangelo Moscarda finisce male: in un ospizio di diseredati, in... campagna.

Caro Ste, anche tu sembri finito in preda a preoccupanti pensieri e non sono del tutto sicuro che il caso che ci rappresenti sia diverso da quello di Moscarda.

Voglio quindi metterti alla prova: secondo te, come ridono gli asini?

Cari saluti dal cittadino ;-)

Andrea:

Primi passi verso una schizofrenia volontaria...
In fondo noi passiamo una vita a costruirci un'immagine, che dovrebbe essere come vorremmo che gli altri ci percepissero, per poi scoprire che non ci s'ha capito nulla nè noi nè loro. e non è un problema di sfumature da risolvere con le faccine (odio le emoticons, quasi come le abbreviazioni degli sms, che è già un acronimo di per sè).

Andrea scripsit.

ste:

Gli asini sono persone seri e tristi, non ridono mai, di solito. Ma forse leggendo questi discorsi sui problemi d'immagini degli uomini sventolerebbero (???) un po' gli orecchi, perché l'orecchio dell'asino è il specchio della sua anima, se ad un asino puoi toccare gli orecchi puoi farci ogni cosa.

Ora il contadino ha fatto il solito discorso che s'aspettano (s'aspetta lui?) di lui. Uscire dalla pelle una volta, magari.

Io non lo so mica come ci si comporta quando si diventa un personaggio dell'immaginario di qualcuno. Cioè, magari mi è già successo (ché i gusti son gusti, tutti i gusti son giusti meno che la stracciatella e almeno su questo non ci piove), ma io non lo sapevo di essere diventato un personaggio dell'immaginario di qualcuno e allora facevo la vita di sempre, consapevole che se la vita comincia a quarant'anni siamo destinati tutti a una morte precoce (direi quasi precotta). Ma non divaghiamo...
Se uno entra a far parte dell'immaginario collettivo c'ha sempre una via d'uscita: ammettendo pure che ad ogni testa corrisponda mezzo cervello, per la legge dei grandi numeri (SuperOtto, SetteBello, GranbiscOtto…) i cervelli in gioco tendono sempre al fottìo, perciò ogni comportamento è lecito. Se mi alzo presto assecondo l'immaginario di Sergio, se mi alzo tardi quello di Sofia, se non mi alzo più accontento l'immaginario di quello stronzo di Giacomo. Ma se gli immaginari sono pochi le cose si complicano, si diventa responsabili non solo delle proprie azioni, ma anche di quelle che dovremmo compiere per assecondare gli svolazzi dei sopraddetti.
Consideriamo poi l'immaginificio tipico del lettore di blog: trattasi di coacervo tumultuoso in technicolor della peggiore specie. E' un vulcano che erutta (scusate) in continuazione sceneggiate e melodrammi, personaggi melvilliani e arigliani, situazioni tragicomiche e veterocomuniste.
Per esempio metti che domani alle 16:55 il lettore X mi immagini con gli occhi ridenti che zampetto sopra un prato fiorito con la macchina fotografica al collo [gli occhi ridenti sono una citazione testuale N.d.A.] e invece io sono dal commercialista con gli occhi di Al Pacino dopo sei notte di bisboccia. Come me la cavo? Faccio gli occhi ridenti e fotografo la segretaria sperando che si chiami Margherita? Zampetto sulla moquette rischiando il ricovero coatto? Son cavoli, son cavoli…

(rielaborazione di vecchi pensieri)

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